Una famiglia italiana su tre ospita in casa almeno un animale d’affezione. Ma che ne è di loro quando la coppia decide di separarsi o di divorziare, non potendo il cane essere diviso in due come si fa con una casa?
Potrebbe sembrare una questione di poco conto ma non così infrequentemente le coppie trovano – quasi pacificamente – un accordo su tutte le principali questioni, mentre la discussione si accende per l’affidamento dell’animale di casa, la sottrazione del quale, spesso, è solo uno sleale strumento di vendetta.
A malincuore bisogna ammettere che, ad oggi, la legge è totalmente carente a riguardo. Da anni risiede in Parlamento un disegno di legge (n. 3231 della XVI Legislatura) che ha lo scopo di modificare il nostro codice civile introducendo un nuovo Titolo IV bis rubricato Degli animali, con la previsione dell’art.455 ter Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi, il quale stabilirebbe che In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio. Ma nel frattempo problematiche come il diritto di visita o il mantenimento dell’animale non hanno ancora avuto una risposta dal nostro legislatore e così, sempre più frequentemente, i coniugi si rivolgono al giudice e il giudice, coraggiosamente, è costretto a creare principi giuridici, decidendo sulla base della propria sensibilità al mondo animale. Da ciò derivando, come si può immaginare, una grande incertezza.
Chi terrà il cane dopo la separazione?
Alla domanda “chi terrà il cane dopo la separazione” non è possibile dare una risposta univoca e certa. Ma andiamo per ordine.
Occorre fare un distinguo, a seconda che la procedura di separazione o di divorzio sia consensuale o giudiziale.
In linea generale, i Tribunali consigliano di trovare un accordo circa il collocamento e il mantenimento dell’animale. Una volta trovato l’accordo, esso confluisce nella richiesta di separazione consensuale, e il magistrato procederà con l’omologa. Interessante a questo proposito una decisione del Tribunale di Como del 3 febbraio 2016 il quale ha precisato che l’accordo dei coniugi in sede di separazione consensuale non contrasta né con l’ordine pubblico né con alcuna norma cogente ma che l’omologa, anzi, svolge la funzione di regolamentare una situazione pacificamente meritevole di tutela. Tuttavia è successo anche che, nonostante l’accordo, il giudice non ne abbia tenuto conto e abbia imposto l’affidamento condiviso (Tribunale di Brescia del 2016).
Le cose vanno diversamente quando la coppia non trova un accordo e decide di separarsi o divorziare con una causa davanti al giudice.
In tal caso, per anni, i Tribunali hanno affermato di non essere tenuti ad occuparsi dell’assegnazione degli animali domestici, nemmeno qualora venisse loro espressamente richiesto dalle parti con il ricorso (così Tribunale di Milano del 2015). Uno spiraglio sembrava aprirsi, tuttavia, quando i giudici erano chiamati a decidere sulle condizioni di separazione e divorzio di coniugi con prole. In questi casi infatti, stabilendo il codice civile che il giudice deve decidere nell’esclusivo interesse morale e materiale del minore, un provvedimento che disciplina anche la sorte dell’animale domestico, al quale il minore è indubbiamente affettivamente legato, è certamente ammissibile. Così la Cassazione si era espressa, stabilendo la legittimità dell’affidamento del gatto al coniuge presso cui era stata collocata la minore, stante il legame affettivo tra la bambina e l’animale.
Ma se non vi sono minori?
Si tratta di una notevole pecca nella legislazione attuale, soprattutto considerando che lo stesso Trattato di Lisbona, in vigore dal 13 dicembre 2007, riconosce l’animale come un “essere senziente”. A questo proposito, recentissimamente, una coppia in sede di separazione giudiziale si è vista disporre dal giudice l’affido condiviso a settimane alterne del cane. Ma il giudice non si è fermato a questo. Egli ha, per la prima volta, statuito anche sul mantenimento, stabilendo la reciproca partecipazione alle spese. In particolare il Tribunale ha affermato che in mancanza di accordi condivisi e sul presupposto che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale stesso, assegna il gatto al resistente che dalla sommaria istruttoria appare assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale e il cane, indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante nel microchip, ad entrambe le parti, a settimane alterne con spese veterinarie e straordinarie al 50% (Tribunale di Sciacca, 19 febbraio 2019).
Certamente siamo di fronte ad una decisione giuridica che tiene in grande considerazione il valore della relazione che si instaura con l’animale familiare e l’interesse di questo a non soffrire e che, si spera, farà giurisprudenza.
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