“Avvocato, voglio il divorzio“, me lo sento dire spesso
ecco allora qui di seguito quello che c’è da sapere, e che vale anche nella situazione inversa, quando mi viene detto “mio marito / mia moglie vuole il divorzio”
1. fare i separati in casa o semplicemente andarsene via non cambia nulla: si resta comunque sposati
Il matrimonio è un atto giuridico formale cui la legge ricollega specifici effetti a cui le parti non possono sottrarsi semplicemente perché non sono più interessate al vincolo coniugale.
Se, ad esempio, dopo aver scoperto un tradimento, uno dei due semplicemente se ne va di casa e si rifà una vita, magari con un altro compagno, e dopo anni muore … ad ereditare è la moglie o il marito fedifrago che non vedeva da chissà quanto, e non il nuovo partner, suo vero compagno di vita!
2. è sufficiente che sia uno solo dei due a volerlo, il consenso dell’altro non è necessario
Frasi come “mia moglie non mi vole concedere il divorzio” non hanno fondamento. Se uno dei due coniugi non è d’accordo, l’altro può comunque rivolgersi al Tribunale ed ottenere prima la separazione e poi il divorzio, anche nel caso in cui l’altro decidesse di non rivolgersi nemmeno ad un proprio avvocato e addirittura non si presentasse davanti al Giudice.
3. prima del divorzio va fatta la separazione
In Italia la fine del matrimonio avviene necessariamente per gradi: prima si passa ad una forma di “matrimonio light“, la separazione, e solo dopo un certo periodo di tempo si può ottenere il vero scioglimento del vincolo matrimoniale, cioè il divorzio.
Questo concetto sfugge al senso comune, ma è fondamentale: i coniugi separati sono ancora marito e moglie. Ciò significa che, ad esempio, non possono risposarsi e sono ancora eredi uno dell’altro (salvo il caso non così frequente di separazione con addebito, e cioè per “colpa” di uno dei due).
La separazione, infatti, porta solo ad una attenuazione di alcuni diritti ed obblighi matrimoniali che sono direttamente collegati alla cessazione della convivenza sotto lo stesso tetto. Insomma, ognuno a casa propria ma ancora marito e moglie.
Poiché in sostanza la separazione getta le basi del divorzio, personalmente trovo molto più critico il primo tipo procedimento. Se c’è un buon consiglio che possa dare come avvocato è questo: mai accettare di concordare una separazione che non vi convince pur di archiviare in fretta la questione. Una buona separazione non deve lasciare nodi irrisolti e deve essere equilibrata. Correggere il tiro in seguito, con il procedimento del divorzio, potrebbe non essere più possibile.
Attenzione: questo potrebbe non valere per alcune le coppie che si sono sposate in un paese che prevede il “divorzio diretto” (senza previa separazione) ed a cui è consentita l’applicazione – anche da parte del giudice italiano – della loro legge nazionale.
4. separazione e divorzio possono essere giudiziale o consensuale
Posto che la separazione e il divorzio sono risultati certi, che si possono ottenere nonostante il dissenso dell’altro, il vero nocciolo di questi procedimenti è la definizione delle condizioni a cui le parti si dicono addio. E tanto più lungo è stato il matrimonio tanto più numerose e complesse sono le questioni da definire:
- con chi restano a vivere i figli e quando/quanto vedono l’altro genitore
- chi resta nella casa familiare e chi se ne va
- se per l’acquisto della casa familiare o per altre necessità sono stati fatti mutui o finanziamenti, come ci si regola per i pagamenti passati e futuri
- se uno è tenuto a pagare l’assegno di mantenimento all’altro e, nel caso, di che importo
La separazione (o il divorzio) è consensuale quando marito e moglie trovano un accordo su tutte le questioni che la loro scelta di lasciarsi impone loro di definire. E’ giudiziale, invece, quando su tutte o alcune questioni non trovano un accordo e, quindi, sarà il Tribunale ad imporre alle parti la sua decisione in base alle ragioni che entrambi esporranno al giudice con i rispettivi avvocati.
I procedimenti consensuali sono più brevi e meno costosi di quelli giudiziali. Questo però non significa che il divorzio consensuale sia sempre economicamente più conveniente di quello giudiziale. Ad esempio accettare di pagare per chissà quanto tempo un assegno di importo più alto del dovuto, solo per risparmiare le spese legali, sul lungo termine porta a spendere di più.
5. la casa non va “automaticamente” alla moglie
L’assegnazione della casa familiare non è disposta a favore di uno o dell’altro coniuge. E’ disposta a favore dei figli – ovviamente solo se ci sono – e solo indirettamente ne beneficia il genitore che convive con loro. Ciò significa che:
- le coppie che non hanno figli gestiranno la casa familiare così come si gestisce un qualsiasi immobile: se il proprietario è uno solo l’altro se ne dovrà andare; se invece sono comproprietari, uno liquiderà all’altro la sua quota, oppure venderanno ad un terzo per poi ripartirsi il prezzo ricavato
- se viene stabilito che i bambini restino con il padre (non è frequente ma accade), allora è lui che insieme a loro rimane nella casa familiare
- l’assegnazione della casa dura fin tanto che i figli sono piccoli e continuano a convivere con il genitore collocatario; per tanto dopo che se ne saranno andati si tornerà a gestire la casa come una qualsiasi altra proprietà
- il genitore che prende con sé i figli e va ad abitare stabilmente in un’altra casa in seguito non può pentirsi e tornare indietro, pretendendo di far sloggiare l’altro/a
6. la moglie non ha “automaticamente” diritto ad un assegno di mantenimento
Nel tempo i criteri con cui i Tribunali decidevano se alla moglie spettasse l’assegno di mantenimento, e di che importo, sono molto cambiati.
Attualmente l’assegno viene riconosciuto:
- se il coniuge che lo richiede non dispone di mezzi adeguati propri o non è oggettivamente in condizione di procurarseli da sé e, inoltre
- se ciò dipenda dal contributo che ha dato alla famiglie e al patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali
inoltre
- l’assegno non è quantificato in base al precedente tenore di vita familiare, infatti
- la sua funzione è assicurare un livello reddituale adeguato al predetto contributo alla famiglia e al patrimonio comune
7. si divorzia del coniuge, mai dai figli
E’ chiaro che quando i genitori si lasciano e smettono di vivere insieme anche i bambini vengono a più livelli coinvolti nel nuovo assetto familiare. Restano comunque fermi due principi essenziali:
- i bambini hanno il diritto di mantenere significativi e continuativi rapporti con entrambi i genitori (è il c.d. diritto alla bigenitorialità)
- lo scioglimento del matrimonio lascia immutati i diritti e doveri che discendono dal fatto di essere genitori: ad esempio non è lecito, è anzi reato, smettere di contribuire al mantenimento dei figli per punire la propria ex moglie con cui sono rimasti a vivere
Dopo che la coppia si lascia, ovviamente, non sarà più possibile gestire le necessità dei bambini, economiche e non, come accadeva quando mamma e papà vivevano insieme. Sarà quindi necessario stabilire:
- con chi dei due genitori i bambini rimarranno a vivere
- quando staranno insieme all’altro genitore
- come mamma e papà devono concorrere economicamente alle loro necessità (in parte con denaro e in parte provvedendo in via diretta alle loro esigenze, ad esempio facendo degli acquisti)
Se i genitori non riusciranno a trovare un accordo su questi aspetti, allora sarà il Tribunale a regolamentarli con i propri provvedimenti. Nell’emettere le proprie decisioni il Tribunale segue il principio di proporzionalità, per cui compara le condizioni economiche di entrambi i genitori e parametra l’apporto di ciascuno alle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro (e cioè di produrre reddito).
8. se nel tempo la situazione cambia, anche i provvedimenti che la regolano possono cambiare
I provvedimenti che chiudono i procedimenti in materia di famiglia non sono mai immodificabili. Anzi, è previsto espressamente che possano essere adattati man mano che la situazione cambia.
E’ ovvio, infatti, che un genitore non può essere tenuto a mantenere in eterno i figli. Allora, dopo che saranno diventati autonomi, potrà tornare dal giudice e chiedere la revoca dell’assegno che era stato fissato per loro con la separazione o il divorzio.
Ma attenzione, i provvedimenti non cambiano da soli. Pertanto è chi ha interesse alla loro modifica che dovrà attivarsi chiedendo una loro modifica. Infatti, se si lasciano le cose come stanno, il rischio può essere quello di vedersi chiedere gli arretrati di assegni che un Giudice, se interpellato, avrebbe revocato.
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